Considerazioni da Mental Coach Professionista*, sui metodi di allenamento nel calcio giovanile.
In qualità di mental coach mi sono dedicato, negli ultimi sei mesi, all’osservazione delle dinamiche relazionali che si sviluppano all’interno di una squadra di calcio giovanile e dei metodi di allenamento utilizzati dallo staff.
Il mio approccio è stato quello di analizzare quanto gli obiettivi di carattere tecnico si allineassero alla predisposizione mentale dei ragazzi e quanto il punto di vista di un Coach potesse aiutare “il mister” nella definizione degli esercizi di allenamento.
Il risultato della mia ricerca, che anticipo e che non mancherò in seguito di motivare è sorprendente; molto spesso l’allenamento tecnico-tattico, non tiene minimamente conto dei processi cognitivi ed emozionali degli atleti, generando così equivoci ed incomprensioni che riducono drasticamente le performance dei singoli e della squadra.
Tutto questo nasce dalla mancanza di conoscenza rispetto al ruolo del mental coach professionista dimostrato dalla maggior parte delle società calcistiche, che determina l’esclusione del training mentale-emozionale dalle pratiche di allenamento.
Tempo dedicato alla preparazione e alla gara per un giovane “dilettante”
Solitamente le squadre giovanili delle società dilettantistiche, che militano in campionati regionali o regionali elite, si allenano 3 volte a settimana per un massimo di 6 ore complessive per poi affrontare 90 minuti di gara.
Sul tempo complessivo di 7 ore e ½ settimanale, quello dedicato alla gratificazione tipica del gioco è del 15% circa, solo per coloro che parteciperanno alla gara e in relazione ai minuti effettivamente giocati. Il restante 85% del tempo è da considerarsi “sacrificio ed impegno” propedeutico alla qualità della prestazione in gara.
Prima considerazione
Il sacrificio e l’impegno devono a vere uno scopo chiaro, se si vuole attivare la motivazione all’agire. Lo scopo è anche uno degli elementi fondamentali per poter accedere al flow. “Qual è il motivo per cui devo faticare nell’esecuzione di questo esercizio, nel fare questi allunghi, nel correre intorno al campo, ecc..?”
“Quale vantaggio traggo nel momento in cui metto il mio massimo impegno nell’eseguire gli esercizi?”
Queste sono le domande, per lo più inconsce che si pone l’atleta, e alle quali deve trovare risposta per motivarsi al sacrificio.
Tempo dedicato ad ogni singola abilità – l’abilità mentale
Abbiamo osservato che l’85% del tempo impegnato praticando calcio è occupato dalla preparazione alla gara, ora valutiamo quanto di questo tempo è dedicato alle singole attività.
Quanto tempo viene dedicato all’allenamento mentale? Quanti esercizi hanno come obiettivo l’allenamento emozionale?
Nonostante sia convinzione ormai diffusa che “la testa” sia fondamentale per ottenere le performance desiderate, il tempo dedicato all’esplorazione cognitiva ed emozionale e l’allenamento nella gestione di queste competenze è pari a ZERO.
Seconda considerazione
Ad ogni prestazione corrisponde un’emozione!
L’atleta deve imparare a percepire quale stato d’animo è strettamente collegato alla sua miglior performance, così da poterlo richiamare quando è in gara. Nel momento in cui accedo alla mia emozione prestazionale, la qualità della performance cresce.
Gli allenamenti devono riguardare anche la capacitò di esplorare le proprie emozioni, i propri stati d’animo, le proprie sensazioni; essere in grado di comunicare, anche se solo a se stessi, il proprio mondo emozionale aumenta l’intelligenza emotiva dell’atleta è così le sue prestazioni.
Tempo dedicato all’allenamento dell’abilità atletica, tattica e tecnica
Fatto ZERO il tempo dedicato all’allenamento mentale, la preparazione atletica, tecnica e tattica assorbono tutto l’85% rimanente. Ogni allenatore destina cure diverse alle tre discipline; chi sviluppa più la parte atletica utilizzando esercitazioni senza pallone improntate all’allenamento aerobico, chi alla parte tecnica attraverso esercizio di partite a tema in campo ridotto, chi dedica molto tempo alla spiegazione della tattica. Diciamo che facendo una media diciamo che il 35% del tempo è speso per la parte atletica, il 30% per la tecnica e il 20% per la tattica.
Credo si tema dell’allenatore “disegnare” il grafico delle tempistiche per valutare se sono adeguate alla necessità della squadra. Per fare un esempio: potrebbe essere necessario ridurre l’investimento di energie sulla tattica quando mancano ai ragazzi competenze specifiche nei fondamentali.
Cosa significa giocare bene a calcio?
Negli sport singoli come il tennis, il golf, lo sci ecc…, è facile definire che “gioca bene”; chi vince, gioca bene e va avanti! Se sei bravo vinci i tuoi incontri e ti puoi ritrovare a Wimbledon altrimenti palleggi con gli amici. Ma nel calcio, è tutto più complesso. Ricordiamo molti casi di calciatori con grandi qualità ma carriere sportive scarse, e calciatori che spostati di ruolo diventano leader della squadra e fautori del successo del team. Molto spesso, il successo di un calciatore passa attraverso la visione del mister, che ne intuisce le potenzialità in ruoli inaspettati (esempio può essere quello di Andrea Pirlo spostato da Ancellotti da trequartista a mediano).
Allora, quali sono i comportamenti tecnici, attitudinali, tattici che definiscono la qualità del calciatore?
Il mister potrebbe utilizzare la ruota del calciatore, per evidenziare i comportamenti calcistici che fanno parte dei talenti dell’atleta e quelli che invece devo esser sviluppati con esercitazioni specifiche.
La ruota del calciatore
Terza considerazione
I calciatori non sono tutti uguali!
Ogni calciatore è diverso dagli altri e necessita di attività differenti per esaltare le proprie competenze e migliorare quelle necessarie per il suo ruolo. Allora perché non differenziare maggiormente gli allenamenti?
Quanto tempo si dedica oggi allo sviluppo delle competenze di base, nei settori giovanili delle società dilettantistiche? Il colpo di testa, lo stop di petto, il calcio al volo, il tiro in porta, l’uno contro uno ecc…
Eppure è proprio dalle società di “periferia” che nascono i campioni di domani! Non tutti hanno la fortuna di essere selezionati da una squadra professionistica per il proprio settore giovanile; la massa di ragazzi che giocano a calcio lo fanno nelle società dilettantistiche.
La ripetitività del gesto tecnico
Sareste in grado di guidare in maniera sicura la vostra auto se la utilizzaste una volta ogni due mesi? Certo che no! Utilizzandola, da subito, dopo aver conseguito la patente, costantemente tutti i giorni il vostro corpo-mente ha appreso come guidare, ed ora lo fate, parlando tranquillamente al telefono, fumando una sigaretta, pensando ai fatti vostri, tanto che spesso non ricordate nemmeno che strada avete fatto per tornare dall’ufficia a casa.
Questo perché alla fine è il vostro corpo che impara, non la vostra mente. E’ il corpo che è depositario delle nostre competenze nel FARE. Come può un tennista rispondere ad una battuta nella quale la palla viaggia a 210 km/h? Non è la mente che istruisce il corpo alla risposta, non ne ha materialmente il tempo; è il corpo che agisce in autonomia, ma per arrivare a ciò occorre tanto allenamento, come guidare un’auto.
Allenare i gesti tecnici
I comportamenti tecnici possono migliorare se il gesto è ripetuto molte volte di seguito. Il tennista allena il diritto colpendo la palla centinaia di volte, lo stesso per il rovescio e così via.
Di prassi il calciatore invece o dispone delle competenze innate o niente! In realtà, sono proprio i grandi calciatori che si fermano in campo per esercitare i loro colpi migliori, ripetutamente; le punizioni, i tiri da fuori area ecc… Sinatra, the voice, si allenava 4 ore al giorno per mantenere la sua qualità canora e invece a volte si pensa che il talento sia innato e che non debba essere allenato.
Questo dimostra che è il sacrificio, l’impegno, l’allenamento, la ripetitività del gesto che porta ad un miglioramento repentino e visibile della qualità del gioco.
Quanti colpi di testa si eseguono in un allenamento? Quanti tiri in porta? Quanti stop? …
L’insicurezza del calciatore
Capita al mental coach di lavorare sulle interferenze che impediscono al calciatore di esprimersi al meglio. Spesso però l’insicurezza, prima che dalle interferenze mentali è dettata dalle competenze mancanti. Il lavoro del coach non può che essere sinergico a quello del preparatore atletico, tecnico e tattico, perché quando l’esplorazione del coaching arriva a consapevolizzare una carenza nei comportamenti calcistici, solo il tecnico può metterci una pezza.
Se un ragazzo ha paura a colpire la palla con la testa, dato il rinvio del portiere, è il mister che gli deve insegnare come evitare di farsi male!
Se un atleta stoppa la palla di petto e la spedisce 3 metri avanti, così che gli avversari la conquistano e fanno goal, è il mister che deve insegnare come stoppare la palla di petto e tenerla vicino al corpo per difenderla. E’ chiaro che la prossima volta sarà timoroso nel gestire il pallone, e farà peggio, perché si che in quel momento oltre alla incompetenza si innesca anche l’interferenza mentale
La scelta del ruolo
Come scegliere il ruolo ai propri giocatori?
La ruota del calciatore può essere uno strumento adeguato per definire le competenze specifiche per ogni ruolo in campo e a quel punto valutare i singoli giocatori.
Visione di gioco e piede educato per un regista di centrocampo, aggressività e difesa della palla per un centrale di difesa, velocità e gamba per un esterno, uno contro uno per un attaccante ecc.., sono solo degli esempi per comprendere cosa intendo.
Posizionare i giocatori fuori ruolo attiva l’interferenza
Non è cosa banale giocare fuori ruolo o in ruoli che non si addicono ai propri talenti!
Qualsiasi atleta esprime il suo massimo potenziale quando è nel FLOW, uno stato di coscienza che ci fa rimanere nel qui ed ora, completamente concentrati sul FARE. Per fare questo, come abbiamo già potuto comprendere l’atleta deve sviluppare dei comportamenti automatici che non richiedono l’impiego del cognitivo per agire ma è il corpo che già sa cosa fare. Perché questo avvenga occorrono dei forti punti di riferimento.
Il cambio di ruolo o il ruolo non adeguato al calciatore portano l’atleta ad essere interferito da pensieri, parole, immagini, emozioni che abbassano la soglia di concentrazione e riducono la prestazione. Si possono anche notare crisi di ansia e attacchi di panico.
Gli scenari realistici
Quando ero bambino gli allenamenti erano molto semplici: preparazione atletica senza palla, esercizi tecnici con la palla, partita alla fine dell’allenamento sul campo ad 11, anche quando eravamo pulcino o esordienti.
Nella partita d’allenamento si imparavano a conoscere gli scenari più realistici possibili, in riferimento alla gara del sabato. La mente si abituava alla dimensione del campo, alla distanza tra i compagni, alla dimensione dell’ area di rigore ecc…
I comportamenti erano parametrati alla densità dei calciatori sul campo e sulla forza che occorreva imprimere per passare da una parte all’altra del campo, oltre che valutare lo sforzo nella corsa per passare dalla difesa all’attacco e viceversa.
Oggi questo si è un po’ perso. Si è persa l’abitudine di esercitare la mente agli scenari reali che riguardano la partita.
Chiusura
Questa mia piccola relazione vuole essere uno spunto per l’approfondimento sulle metodiche utilizzare per formare nuovi calciatori, partendo da un punto di vista inconsueto per chi allena, cioè lo studio da parte di un professionista che osserva il calcio partendo dai processi cognitivi che si sviluppano nella testa di un atleta. L’intenzione non è quella di giudicare ma quella di aiutare i ragazzi a diventare calciatori e uomini di successo, quando per successo si intende l’espressione di tutto il loro potenziale. In questo gli allenatori sono figure molto importanti.
Alessandro Gornati
*Il Mental Coach Professionista si distingue per aver ricevuto l’attestato di qualifica da parte di un’associazione di categoria (nel mio caso l’ACoI), riconosciuta dal Ministero dello Sviluppo Economico, in base alla legge n.4 del 2013.
Bibliografia
Daniel Goleman, “Intelligenza emotiva”
Timothy Gallwey, “Il gioco interiore nel tennis”
Timothy Gallwey, “Il gioco interiore nel lavoro”
Mihàly Csikszentmihàlyi, “Flow, psicologia dell’esperienza ottimale”