Imparare ad ascoltare

Nella vita svolgo l’attività di imprenditore e per ottemperare alle peculiarità del mio ruolo, sono costantemente orientato alla vendita; la vendita del mio prodotto, della mia azienda (quando sono alla ricerca di nuovi collaboratori) della mia persona (quando sono in attività di formazione). Ho per molto tempo creduto che le competenze per ottenere una vendita efficace fossero legate all’impiego corretto della lingua italiana e all’esposizione di concetti interessanti per l’interlocutore. Dopo innumerevoli mortificazioni, e insuccessi grazie all’ausilio di supporti formativi, ho finalmente compreso che non sono le affermazioni che convincono, ma la capacità di cogliere i reali bisogni del mio interlocutore. Con l’ascolto dell’altro, acquisisco le chiavi che aprono l’accettazione della comunicazione e quindi l’aderenza alle mie proposte.

Il potere del silenzio

E’ quindi il silenzio l’arma più potente che genera la persuasione; il coach professionista infatti utilizza il tacere e l’ascoltare come strumenti fondamentali per il conseguimento delle sue performance e per accompagnare il coachee al conseguimento del suo obiettivo e la soddisfazione del bisogno.

Detto così può sembrare semplice, in realtà “l’uomo impiega 20 mesi per imparare a parlare, ma non gli basta una vita per imparare ad ascoltare[1]”, perché è nella sua indole percepire di affermare il proprio Io attraverso l’espressione verbale dei suoi pensieri, delle sue esperienze e del suo vissuto.

La relazione tra Coach e Decisore, è una relazione asimmetrica, nella quale si devono esaltare le doti di ascolto e di silenzio da parte del Coach, a favore del protagonismo espressivo del coachee. L’ascolto di cui stiamo argomentando non riguarda il solo sentire; il verbo sentire presuppone un’attività involontaria che non contiene il concetto di sintonizzazione con i pensieri e le emozioni del parlante. Ascoltare al contrario è un’attività volontaria e consapevole, soprattutto se attiva, ossia attenta alle innumerevoli variabili espressive della comunicazione in essere.

Ascolto attivo ed empatia

L’ascolto attivo è la capacità del Coach di entrare in una relazione empatica con il decisore, cogliendo la straordinaria unicità dell’essere umano, nel rispetto delle divergenze e in assenza di giudizio.

Ascoltare quindi è un’attività che presume, non solo sentire dei suoni, ma decodificare gli stessi per comprendere il messaggio che le parole intendono trasmettere. E’ un’attività cognitiva che comprende uno sforzo ma che spesso non è sufficiente ad avvicinare empaticamente il Coach al decisore. Infatti spesso ascoltiamo solo quello che ci “piace ascoltare”, ascoltiamo ciò che già è parte di una nostra Gestalt, e accettiamo solo quello che è già parte del nostro mondo conosciuto. L’ascolto attivo si caratterizza quindi per la sintonia emotiva che riusciamo a sviluppare con il coachee e che prevede, l’assenza di interpretazioni, l’astensione dal giudizio e la scoperta delle proprie ed altrui emozioni (intelligenza emotiva).

Nella pratica l’ascolto attivo si concretizza avendo cura di prestare attenzione a tutti i segnali che l’alter ego ci invia, non solo quelli di carattere verbale, che rappresentano il contenuto della comunicazione, ma soprattutto le componenti para verbali e non verbali della stessa. Apparentemente la comunicazione non afferente al contenuto, non parrebbe così interessante, perché non esprime concetti di carattere cognitivo, ma siccome il Coach ha necessità di sintonizzarsi sulle emozioni del coachee, tutta la comunicazione basata sul tono della voce e sulla postura del corpo è di fondamentale importanza.

Il corpo non mente

Il corpo non mente. Questa affermazione sta ad indicare che, all’interno di uno scambio comunicativo, l’autenticità non è sempre presente, se prendiamo in esame solo la creazione cognitiva del contenuto verbale. La mente costruisce scenari che possono essere anche non veritieri, nel tentativo inconscio di depistare l’interlocutore, a causa di situazioni come la scarsa fiducia nel coach, l’imbarazzo, o la sensazione di non sentirsi adeguati. Se, al contrario, accogliamo i segnali del corpo, questa maschera di “falsità” cade. Le vere emozioni dell’alter ego, necessariamente si esprimono attraverso il corpo, senza possibilità di poterle nascondere. Verbalmente, la costruzione di un futuro desiderato, può non essere coerente con i reali bisogni del cliente, cosa che a livello corporeo invece, e agli occhi di un abile ascoltatore, viene subito evidenziato. Cosa si intende per comunicazione non verbale e para verbale (i sistemi rappresentazionali[2])?

La comunicazione para verbale intende, come il suono viene articolato per costruire la trama verbale del pensiero, ossia, con quale tono, frequenza, colore, la voce viene modulata per esprimere il discorso. La richiesta “per favore mi passi quella penna” può essere espressa con un tono gentile, oppure con atteggiamento aggressivo e polemico, di colui che manifesta una pazienza ormai esaurita rispetto a condizioni relazionali precedenti.

La comunicazione non verbale invece riguarda tutto ciò che fa il corpo, durante il flusso comunicativo; dalla prossemica, cioè, come mi pongo fisicamente nei confronti dell’interlocutore, stando nella medesima posizione (in piedi o seduti), mantenendo le distanze o riducendole, orientando il corpo verso il parlante o in direzione di fuga ecc… Il non verbale riguarda le espressioni del volto, il colore della pelle, la sudorazione, o molto importante, l’attività oculare. Il movimento degli occhi[3] ci segnala se l’interlocutore sta ricercando nel proprio passato o creando nel proprio immaginario, sensazioni di carattere uditivo (portando l’occhio in direzione delle orecchie), visivo (rivolgendo l’occhio verso l’alto) o cinestesico (volgendo l’occhio verso il basso). Tutto questo è utilissimo al Coach per creare empatia con il coachee, ma non è sufficiente. Le stesse attenzioni il Coach professionista le rivolge anche a sè stesso, diventando consapevole, anche dei messaggi che sta inviando all’interlocutore. Insomma il Coaching è relazione, è la capacità di calarsi nei panni dell’altro “comprendendo cosa influenza i suoi sentimenti, mostrandosi genuinamente interessato a ciò che viene detto, e più di tutto sospendendo il giudizio sulle parole e sulla persona[4]”.

Le competenze del coach

Il coach deve essere dotato di competenze relazionali, quali il saper ascoltare, saper accogliere e stabilire un contatto con l’interlocutore; oltretutto queste competenze sono interconnesse, non possono essere sviluppate senza lo sviluppo delle atre due. Saper ascoltare implica il saper accogliere e stabilire un contatto, per accogliere devo ascoltare e stabilire un contatto, e per stabilire un contatto devo necessariamente ascoltare ed accogliere. Lo scopo di queste competenze relazionali è quello di creare le condizioni ottimali per cui l’individuo possa, autonomamente, secondo la propria unicità, esplorare dentro di sé ed individuare le potenzialità necessarie per costruire un piano d’azione che lo conduca al conseguimento del suo obiettivo e al soddisfacimento del bisogno che lo sottende; quindi l’attività del Coach è orientata all’edificazione di una relazione propedeutica alla scoperta del potenziale, relazione che necessariamente deve essere epurata da dinamiche comunicative inefficaci come:

  • Il giudicare – “ Sei il solito disordinato”
  • L’interpretare – “Sei disordinato perché cerchi di attirare l’attenzione su di te”
  • Il consigliare o prescrivere – “ Ti consiglio di andare dallo psicologo perché il tuo disordine è patologico”
  • L’identificarsi – “Anche a me capitava di essere disordinato, avevo lo stesso problema qualche anno fa”

Queste dinamiche relazionali, non permettono all’individuo di individuare le risposte che già sono dentro di lui, ma al contrario etichettano i suoi comportamenti, impedendone un movimento evolutivo interiore.

[1] Marianella Sclavi

[2] I sistemi rappresentazionali – Manuale di PNL redatto da Istituto Fedro di Roma

Secondo Dilts i sistemi rappresentazionali sono “gli elementi fondamentali a partire dai quali si formano gli schemi del comportamento umano, i sistemi percettivi con cui i membri della specie operano sul loro ambiente: vista, udito, cenestesi e olfatto/gusto”. I nostri sensi registrano l’informazione proveniente dal mondo esterno, e la memorizzano secondo le modalità che le caratterizzano, che sia un’immagine, un suono, una sensazione tattile o olfattiva e gustativa. Queste informazioni rimangono nel nostro inconscio, e ne possiamo accedere utilizzando gli stessi sistemi rappresentazionali che abbiamo utilizzato nell’atto della memorizzazione.

[3] Lateral Eye Movement

I movimenti oculari, definiti L.E.M. sono rappresentazione di come il nostro sistema mnemonico perlustri i sistemi rappresentazionali, alla ricerca di ricordi o nella costruzione di scenari emotivi/cognitivi. Osservando una persona possiamo individuare quale sistema rappresentazionale sta indagando e se sta accedendo alla memoria o alla costruzione di un evento. Quando l’occhio si sposta alla sinistra dell’interlocutore (la nostra destra), in linea orizzontale, l’individuo sta indagando nei ricordi del sistema uditivo, mentre se il movimento oculare è sulla stessa linea dell’orizzonte ma opposto sta costruendo un sistema di suoni. Quando l’occhio si sposta verso l’angolo del sopracciglio sinistro (la nostra destra), l’individuo sta indagando nella memoria visiva, al contrario se l’occhio si sposta verso l’angolo del sopracciglio destro, sta costruendo uno scenario di immagini. In fine quando l’occhio di muove verso il basso a sinistra dell’interlocutore si sta verificando un dialogo interno, mentre se l’occhio si rivolge in basso a destra l’interlocutore sta accedendo alle sue memorie cinestesiche.

Manuale di PNL redatto da Istituto Fedro di Roma

[4] Manuale tecnico Prometeo Coaching